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intimisto.
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Carla, notre amour.
Oggi niente sale sulla pelle. Il mare lo si vede all’orizzonte, sotto gli occhi libertà /liberazione.
E questo testo di carla lonzi.. la spietata. (o la scontrosa) 😉
“Mito della proposta culturale”, Carla Lonzi
Tratto da “La presenza dell’uomo nel femminismo” (1978) di C. Lonzi, M. Lonzi, A. Jaquinta, pp. 137-152
Incongruenza. Scrivere è un atto pubblico. Si scrive per esprimersi e per dare risonanza, perché un’altra possa esprimersi e dare risonanza. Ogni altro modo di scrivere è una manifestazione di inserimento culturale. Se non ci si riconosce l’una con l’altra chi è riconosciuto è l’uomo: viene così avvalorata la sua cultura. Continue reading
Della miseria in ambiente accademico..
.. considerata nei suoi Aspetti Economico, Politico, Psicologico, Sessuale e Specialmente Intellettuale. e di Alcuni Mezzi per Porvi Rimedio.
O meglio, del tentativo di sottrarre dal complice silenzio i violenti processi di soggettivazione-assoggettamento che attraversano l’università italiana.
Oggi parto proprio da me, dalla perversione dei sensi, dei significati, degli affetti con cui mi schianto ogni giorno in quanto dottoranda, senza madrine né padrini, di un’università di provincia. Perché i sistematici fallimenti dei miei tentativi di costruire sorellanza e complicità eversiva nel luogo-rete in cui lavoro mi impoveriscono.
Ho scovato il numero di questa bella rivista autoprodotta di antropologia. Oltre a consigliarvi la lettura dell’intervento di Boni, potete trovarvi (l’intervento di Balsamo e Di Cori) una lucida analisi dei rapporti sociali genderizzati che strutturano l’università italiana: rapporti di patronage, di dipendenza personale e di rivalità fra lignaggi a cui, anche le giovani generazioni, spesso non sembrano sottrarvisi. Leggerlo mi è banalmente stato terapeutico; rappresenta un nodo in quella mappa “di autonomie ribelli” che dovrebbero proliferare e accompagnare necessariamente qualsiasi richiesta di reddito e risorse. Pena il continuo perpetuarsi del putrescente esistente.
A voi il pdf..15
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Contributo alle discussioni sulla repressione..
Riflessioni che vengono dalla Francia e che tentano di guardare alle poste che entrano in gioco quando si ha collettivamente a che fare con dispositivi repressivi. Visto quello che è successo in questi ultimi mesi a Bologna, a Firenze e a Padova (1–2), in cui compagn*, da prospettive diverse, hanno dovuto affrontare la gestione pubblica del proprio essere divenuti oggetto di repressione poliziesco-giudiziaria, si è pensato potesse essere utile recuperare questo testo e tradurlo. È un’analisi puntuale di quello che è successo con l'”affaire Tarnac“, ma trascende l’evento particolare per parlare, più in generale, delle contraddizioni e dei rischi con cui ci si deve confrontare portando avanti conflitti nell’Europa di questi ultimi anni.
Contributo alla discussione sulla repressione antiterrorista
Questo testo è il prodotto di un processo di discussioni collettive. Lungi da limitarsi a una critica della difesa pubblica degli «incolpati di Tarnac », afferma delle posizioni sulle forme di lotta attuali.
Pensiamo di continuare questo dibattito e di allargare questa elaborazione collettiva. Mandateci testi, commenti e altri contributi a questa mail: alleztrincamp((AAA))riseup.net
« Tarnac » è il nome d’una operazione mediatico-poliziesca che ha fatto molto rumore. In questa occasione dei discorsi pubblici sono stati tenuti dal comitato di sostegno, i prossimi o certi incolpati. Discorsi che, in fine, portavano delle posizioni politiche. Molti di questi discorsi ci hanno dato fastidio, se non fatto incazzare. Per tanti diversi motivi. Qui ne spieghiamo qualcuno per chiarificare e condividere le discussioni che possiamo aver avuto. Anche perché le riflessioni su Tarnac sono valide per molte altre situazioni di repressione delle lotte.
Quello di cui parliamo in questo testo, è del « discorso pubblico » che concerne la repressione, ovvero quello che si è detto e scritto pubblicamente al di là degli aspetti giuridici di un caso. Non si tratta di parlare di quello che si dice, o no, davanti a un giudice. L’articolazione tra gli elementi giuridici e il discorso pubblico che si ha su un caso non è evidente, è un nodo sempre abbastanza complesso. Per questo siamo convinti che è necessario costruire un discorso pubblico che non sia interamente dettato dalla difesa giuridica. Tenendo bene a mente che i discorsi pubblici affermano delle posizioni politiche che vanno al di là di una situazione particolare di repressione.
Davanti alla repressione, non è facile riuscire a posizionarsi,  trovare come costruire un rapporto di forza davanti allo stato in una situazione in cui si è spesso indeboliti. Queste domande sono sempre esistite all’interno dei movimenti perché si cerca ogni volta dei modi di affrontare questa situazione senza perdervisi. Ci sembra urgente alimentare questo dibattito, contribuire all’elaborazione di discorsi pubblici da tenere in queste situazioni. Dei discorsi che non siano in contraddizione con quello che si pensa, quello che si ha, e che possano trovare eco in altre persone che subiscono anch’esse la repressione…
Il resto del testo, lo potete scaricare qua:Â contributo alla discussione sulla repressione
Il testo originale in francese è invece consultabile qui.
Libertà di movimento per tutt*!
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Tagged repressione
Comments Off on Contributo alle discussioni sulla repressione..
Essere rom in Francia oggi..
Anche i media mainstream italiani si sono accorti che la France ha deciso di far fuori i rom dai propri confini.
Nonostante la Commissione Europea chiami Sarko e company a rispettare le normative, nonostante ci si nasconda dietro la dicitura “rimpatrio volontario”, gli sgomberi di campi si susseguono e oggi i primi rom son saliti sull’aereo verso la romania.
Questo é un reportage girato vicino all’aereoporto charles de gaulle di Parigi, dove vi é una “zone d’attente”, ovvero un mini-CIE francese dove viene quotidianamente rinchiuso chi é in situazione irregolare e/o verrà espulso. Chiaramente, vista l’emergenza rom, per l’occasione hanno ricreato un altro spazio d’eccezione in una palestra.
friday i’m in love.. en cavale.
e io ho risposto che ero pronta, che poteva cominciare. pensavo di essermi sufficientemente affilata, lucidata, blindata: temevo quello che stavo per sentire, ma non sapevo che la realtà delle parole fosse cosi dolorosa, sorprendente come un colpo di schioppo, che mi avrebbe tramortito imprevedibile; fino a che le donne, o la donna, giravano attorno a j. come ombre senza nome e consistenza, il riso della mia fede e della mia giovinezza ne avevano avuto ragione, mi passavano attraverso senza farmi troppo male: fottile, j., hai ragione, fottile tutte.
ma non ho l’armatura di un confessore, non ho l’indifferenza della certezza. non ho da capire né da perdonare.
ascoltando con stupore infinito questa ferita strana che pulsa, sorpresa, attenta, scopro il mal d’amore. il mal di stomaco, il male alle zampe, posso deporli accanto a me e allontanarmene. ma per questo non vi sono droghe o piroette possibili, il male torce e fa gemere tutta la carcassa, é me.
albertine sarrazin, 1979
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ma che fa la polizia?
E sì, signora mia, signore caro, che fa la polizia?
Siamo proprio a Montreuil, voi ed io: Montreuil, nella Seine-Saint-Denis. Che ci si abiti o che ci si passi, si hanno due occhi per vedere come essa rassomigli poco all’immagine che ne danno i giornali e i politici. Nessuna città saprebbe somigliare a queste immagini abbrutite (e abbrutenti), allora ho deciso di cominciare a descrivere cos’è Montreuil, aberrazioni ottiche comprese.
Montreuil, è grande, brulica di persone, è molto complessa ed è stupefacentemente tranquilla. D’altra parte, somiglia molto alle altre città nelle quali ho vissuto: lo Stato è ovunque, e la sua amministrazione ci accorda (o no) il diritto ad essere qui, al prezzo di tutti quei conti da rendere senza sosta in montagne di cartacce e di giustificazioni di esistenza. Fa regnare la sua legge, sotto l’infinita varietà delle sue uniformi, per assicurare il mantenimento di un ordine regolato dal profitto.
Come ovunque altrove, è questo che fa la polizia..
il corpo che ci viene rubato per fabbricare organismi opponibili..
da testo junkie.. b. preciado
“qualche codice semio-tecnico della femminilità appartenente all’ecologia politica farmaco-pornografica:
Piccole donne, il coraggio della madre, la pillola, cocktail stracarico di estrogeni e di progesterone, l’onore delle vergini, la Bella addormentata nel bosco, la bulimia, il desiderio di bimbo, la vergogna della deflorazione, la Sirenetta, il silenzio di fronte allo stupro, Cenerentola, l’immoralità ultima dell’aborto, i dolci, saper fare un buon pompino, il Lexomil, la vergogna di non averlo ancora fatto, Via col vento, dire no quando si vuol dire si, restare a casa, avere delle piccole mani, le ballerine d’audrey hepburn, la codeina, prendersi cura dei capelli, la moda, dire si quando si vuol dire no, l’anoressia, sapere tra sé che chi ti piace veramente é la tua amica, la paura di invecchiare, la necessità di essere costantemente a dieta, l’imperativo della bellezza, la cleptomania, la compassione, la cucina, la sensualità disperata di Marylin Monroe, la manicure, non far rumore quando cammini, non far rumore quando mangi, non far rumore, il cotone immacolato e cancerogeno del tampax, la certezza della maternità come legame naturale, non saper urlare, non sapersi battere, non saper uccidere, non sapere troppe cose o saperne molte ma non poterlo dire, saper attendere, l’eleganza discreta di Lady D., il prozac, la paura di essere una cagna in calore, il valium, la necessità del tanga, sapersi controllare, lasciarsi inculare quando ci vuole, rassegnarsi, la giusta epilazione del pube, la sete, i sacchettini in lavanda che sanno di buono, il sorriso, la mummificazione vivente del viso liscio della gioventù, l’amore prima del sesso, il cancro al seno, essere una donna vissuta, che tuo marito ti lasci per una più giovane..
qualche codice semio-tecnico della mascolinità appartenente all’ecologia politica farmaco-pornografica:
rio grande, il calcio, Rocky, portar la mutanda, saper picchiare qualcuno, Scarface, saper alzare la voce, Platoon, saper uccidere, i mezzi di comunicazione, l’ulcera allo stomaco, la precarietà della paternità come legame naturale, la tuta blu, il sudore, la guerra (versione televisiva inclusa), bruce willis, l’intifada, la velocità , il terrorismo, il sesso per il sesso, eccitarsi come Rocco Siffredi, saper bere, guadagnar soldi, oméprazol, la città , i bar, le puttane, la box, il garage, la vergogna di non avercelo come Rocco Siffredi, il viagra, il cancro alla prostata, il naso rotto, la filosofia, la gastronomia, avere le mani sporche, bruce lee, pagare una pensione alla tua ex-moglie, la violenza coniugale, i film d’orrore, il porno, il gioco, le scommesse, i ministeri, il governo, lo stato, la direzione dell’impresa, gli affettati, la pesca e la caccia, gli stivali, la cravatta, la barba di tre giorni, l’alcool, l’infarto, la calvizia, la formula uno, il viaggio sulla luna, ubriacarsi, impiccarsi, i grossi orologi, i calli alle mani, stringere l’ano, il cameratismo, le crasse risate, l’intelligenza, il sapere enciclopedico, l’ossessione sessuale, il dongiovannismo, la misoginia, essere uno skin, i serial killers, l’heavy metal, lasciare la propria donna per una più una giovane, la paura di farsi inculare, non vedere più i propri figli dopo il divorzio, la voglia di farsi inculare…
per molto, ho creduto che solo i miei simili erano veramente nella merda. Perché noi non siamo e non saremo mai le piccole donne, o gli eroi del rio grande. Oggi, so che questa merda riguarda tutti.
Ridere é una forma di resistenza, di sopravvivenza, un modo di riunire le forze. Le urla anche. Quando si appartiene ad un gruppo oppresso, bisogna imparare a ridere in faccia al nemico, dice ringgold. Il problema, é che le cose non son più cosi chiare. Non si sa più troppo chi é l’oppressore e chi l’oppresso. O, più esattamente, é difficile sapersi contemporaneamente oppressore e oppresso..
gli uomini e le donne sono delle creature « deficienti, emozionalmente limitate », creature « egocentriche, chiuse su sé stesse, incapaci di empatia, d’identificazione, d’amore, d’amicizia, d’affetto o di tenerezza », delle « unità isolate », creature che il sistema rigido classe-sesso-genere-razza obbliga ad un’autosorveglianza ed ad un controllo su di sé costante. Consacrano a questa concatenazione brutale della loro soggettività un tempo comparabile all’estensione di tutta la loro vita. Una volta che tutta la loro potenza vitale é stata messa a servizio del contenimento della propria molteplicità corporea, sono delle creature fisicamente indebolite, incapaci di trovare soddisfazione nella vita e politicamente morte prima di aver reso l’ultimo respiro. Non voglio il genere femminile che mi é stato assegnato alla nascita. Non voglio nemmeno il genere mascolino che la medicina transessuale mi promette e che lo stato finirà per accordarmi se mi comporto come si deve. Non voglio niente di tutto ciò.”
nell’utero del tempo..
saliro in cima a tuttte le comete a piedi nudi scalero
i tuoi polsi su per la pelle liscia della schiena qui nei
polmoni avro la forza e tra le gambe sangue a sciogliere
i pensieri ti svegliero le mani i seni saro leggera e forte
come maghe come maree che spostano lagune saliro giù
dalle caviglie ai monti colline le tue anche e le segrete
strade che penetrano carne e ossa e fame saliro zitta su
per le montagne a accarezzarti sguardi di notte sotto luna
ed avro sete avro fortuna avro negli occhi gli occhi di tutti
i desideri saliro su per le caverne dei tuoi solchi e accendero
ogni lume intonero canzoni per farti ritornare qui sulla terra
scalza coi piedi umidi d’amore ti saro d’amore e brilleremo insieme
la danza di ogni fiamma accanto-accanto mentre la brace gela
e gelano le cose le piante l’erbe i rovi sorella che mi scaldi
la toccheremo insieme salirci dentro l’alba di tutte le parole nuove
manuela vigorita
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