Per Rémi Fraisse e gli altri. Per noi.

pubblicato il 5 novembre 2014 qui 

Il sito Face aux armes de la police, costituito a seguito  delle mutilazioni per flashball, a montreuil, diffonde un appello ad organizzarsi perché la calma e il silenzio non si installino.

PER REMI FRAISSE E GLI ALTRI. PER NOI.

Dalla ZAD di NDdL a quella di Sivens passando per la lotta anti-TAV a Valognes, da Montreuil a Blois giovedì 30 novembre, passando per Montbéliard, Villiers, Clichy-sous-Bois, Bondy, Trappes, Villetaneuse, les Tarterêts, etc. Là dove la bandiera repubblicana sventola ancora in quelle che bisogna proprio chiamare colonie, a Mayotte e alla Reunion; di manifestazioni in operazioni militari; dalle mutilazioni a accecamenti – accumulazione di volti sfigurati, pezzi di metallo che si infilano nella carne, tendini sanzionati, piedi e mani strappate, vite distrutte, fratelli assassinati.

La polizia fà il suo sporco bisogno, proteggere un ordine assurdo, superquipaggiata e dispondendo per l’occasione di vere e proprie armi da guerra. Bisognava che il peggio arrivasse e ciò che stupisce è che non sia successo prima. Uno di noi, Rèmi Fraisse, è morto per aver dato corpo ad un modo di percepire il mondo, per essersi opposto in atto all’avanzata del deserto quando sarebbe stato comodo restare a casa. Che il pensiero sia altra cosa che un affare privato e senza conseguenze, che chiami a gesti e che si incarni in un modo di vivere, ecco ciò che non potrà mai capire l’idiozia di un piccolo notabile socialista per il quale è “un po’ scemo e assurdo morire per le proprie idee”.

Dal lato del governo, la morte di un uomo è un problema che deve essere gestito per evitare mulinelli. Mentendo prima di tutto e occultando durevolmente le cause e le circostanze reali della morte. Le diverse versioni sapientemente distillate basteranno a gettare lo scompiglio. Sarebbe stato trovato dalla polizia che ha cercato di aiutarlo. L’esplosione potrebbe addirittura essere provenuta dal contenuto del suo zaino. i problemi eventuali di salute della vittima sono sconosciuti, sarebbe troppo presto pronunciarci. Cammuffare quindi il seguente dato bruto, oscendo: uno stock considerevole di granate offensive e di altre armi da guerra erano state portate nelle casse e nelle furgonette per questa occasione come altre. Queste armi sono state malamente usate come previsto e un gendarme ha lanciato una di queste granate militari su un manifestante totalmente sprovvisto e l’ha ucciso sul colpo. “Mentite, ne resterà sempre qualcosa” consigliava un certo Goebbles, esperto di comunicazione.

Inviare poi sul fronte mediatico un direttore generale della polizia nazionale e un direttore aggiunto della comunicazione (ex comandante del raggruppamento di Tarn) per giustificare questo gesto stabilendo una simmetria tra le armi militari di gendarmi superquipaggiati e le pietre e qualche scudo in cartone degli oppositori. Lamentarsi delle violenze subite dai gendarmi. Argomentazione già utilizzata da Valls per la manifestazione del 22 febbraio a Nantes in modalità ricreazione a médiapart: “non siamo noi che abbiamo cominciato, e anche noi abbiamo feriti”.

TERRORIZZARE PERCHE’ CIASCUNO RESTI A CASA SUA

Riconoscere infatti che c’è uno spazio di affrontamento nel quale questa vecchia luna del monopolio statale della violenza legittima non tiene più: ci sono forze che si oppongono. Il torto dell’una è di farsi massacrare dall’altra. A conti fatti, bisogna riconoscere più onestà a quel Jean-Cristophe Bertrand, direttore dipartimentale della sicurezza pubblica della Loira-Atlantica che assume pienamente i tre occhi persi del 22 febbraio 2014 e per il quale “coloro che prendono il rischio di scontrarsi cone le forze delll’ordine si espongono a danni corporei”. Manifestare è accettare il rischio di farsi accecare.

Scoraggiare poi tutti coloro che trovano questa morte odiosa e potrebbero avere voglia di esprimerlo molto chiaramente. L’operazione ha già dato le sue prove in molte occasioni. Ceare una distinzione puramente artificiale tra il cittadino-manifestante non violento e il casseur ultra-violento. Assegnare ruoli fissi e definitivi quando, in una manif o in un movimento, le linee non smettono di muoversi, quando una lotta è sempre una combinazione tra diverse maniere di lottare. Agitare il fantasma del black-block facendo credere che si tratti di un gruppo costituito e facendo come se non si sapesse da sempre che vestirsi di nero e coprirsi il volto in una manif filmata da ogni angolo costituisce una tattica diffusa che riposa su un buon senso elementare e che non è assegnabile ad un gruppo particolare.

Soggetto-cassuer immaginario così costitutito, reprimere duramente i manifestanti reali. Si sarebbe potuto pensare che la morte di Rémi avrebbe, una volta, calmato la la violenza poliziesca. Là, a Nantes, le granate proibite sono utilizzate dall’inizio della manif del 2 novembre e le flashball mutilano ancora. Questa volta un uomo ci perde il naso. Terrorizzare ancora una volta, marchiare il corpo e la mente, per evitare che nasca un qualsiasi movimento e che ognuno resti a casa. Proibire alla bisogna le manifestazioni, come a Parigi il 2 novembre. Arrestare preventivamente coloro che vorrebbero rencarvisi nonostante tutto. Bloccare un quartiere per impedire che il concentramento si tenga.

Perché il popolo di sinistra, questo fantasma del teatro politico, non si sbagli, ci si prenderà cura di fare in modo che nessun partito o sindacato lanci manifestazioni o concentramenti. Meglio: che lancino piuttosto appelli a non manifestare , come i verdi o l’ACIPA a Nantes il 2 novembre. La cosa è chiara, per la sinistra si può uccidere un manifestante senza che ci sia ragione alcuna per offuscarsi.

Ci si potrà allora permettere l’infinita infamia che consiste a fare la lezione rimproverando ai manifestanti che esprimono la loro collera un po’ troppo forte di insultare la memoria di Rémi. La calma, contrariamente a quello che provano tutti i tumulti seguenti a crimini poliziesci – da Rodney King à Bouna e Zyed, sarebbe la sola maniera di onorare i nostri morti.

Per quanto abietta sia, bisogna riconoscere a questa operazione una certa efficacità fino ad ora. La mobilitazione non è all’altezza della situazione ed è proprio l’obiettivo ricercato. Immaginare a cosa sarebbero assomigliati i giorni che sono appena finiti se tutti coloro che hanno detto la loro collera avessero taciuto permette di misurare come questo crimine sarebbe potuto passare, tranquillamente. “La morte di Rémi Fraisse non è una questione di stato per i francesi”, dice un sondaggio. Noi che siamo ben più numerosi che le 1006 persone identificate, noi non piangeremo cinque vetrine e tre fermate dell’autobus.

LA POSSIBILE DISTRUZIONE DEI CORPI COME MODO DI CONTROLLO

Se questo crimine è odioso, sarebbe assolutamente falso concluderne che rimanda ad una violenza eccezionale. L’utilizzazione di armi da guerra, le ferite e le mutilazioni irreversibili, la militarizzazione della polizia è diventata la norma del mantenimento dell’ordine per le lotte contro le infrastrutture (TAV, aereoporto, diga), le rabbie collettive nei quartieri, le manifestazioni troppo determinate.

Poco meno di 30 persone hanno perso un occhio in questi ultimi dieci anni. Daranka Gimo, una ragazzina di nove anni soffre ancora di gravi conseguenze dopo esser stata presa alla tempia. Le LBD, lanciatori di palle di difesa, con la quale la polizia spara regolarmente sulle nostre teste è un’arma di prima categoria che provaca multiple conseguenze irreversibili – fratture e micro-fratture, sfondamenti, scoppi del globo oculare, ecc. In un rapporto, un medico presente durante le giornate del 22-24 novembre 2012 alla ZAD parla di ferite inedite. A Sivens dove il livello di violenza poliziesca è estremo, i gendarmi si permettono di lanciare una granata dentro un carovan nel quale si erano rifugiati alcuni occupanti.

Quello che noi abbiamo di fronte non è una “bavure” come lo riconosce Cazeneuve, non un disfunzionamento ma una logica politica, una forma di governo. La permanenza della possibile distruzione dei corpi come modo di controllo.

Con la morte ancora. Regolare per tutti i Lakhamy, Moushin, Wissam, Amine, Lahoucine, etc. Una quindicina ogni anno. Colpo nella schiena, devastazione di regola, tecnica del piegamento. Non pena di morte ma un permesso di uccidere per i poliziotti che beneficiano sempre di un non luogo a procedere o di un proscioglimento, se il caso non è archiviato.

La situazione è la seguente. Sono anni e anni che si produce una popolazione che si accomoda perfettamente col fatto che alcuni uomini siano uccisi dalla polizia nei quartieri popolari. Dieci anni che si accetta perfettamente che il flashball accechi, mutili e terrorizzi. Con la morte di Rémi, si profila un nuovo momento. Chiunque manifesta deve sapere che può morire. Non in Egitto, in Siria, in Palestina o in Cina. Qui. A Sivens, NDdL, Nantes, Paris e ovunque altrove.

ORGANIZZARSI DI CONSEGUENZA. RIFIUTARE CHE IL SILENZIO E LA CALMA SI INSTALLINO

La morte di Rémi ci impone di prendere la misura di questa situazione e di organizzarci di conseguenza. Lasciare terreno libero alla polizia e al suo mondo, è assicurare la generalizzazione delle morti e delle mutilazioni. Prendere sul serio questa questione presuppone finirla con le illusioni sulla polizia e la giustizia, come ci ricorda Farid, il fratello di Wissam. Il cammino può essere lungo ma bisogna far presto.

Organizzarsi di conseguenza è prendere sul serio la questione della nostra difesa là dove i nostri corpi sono esposti. Le armi utilizzate chiamano la necessità di proteggersi. C’è anche un insieme di saperi e di mezzi tecnici di cui riappropriarsi, condividere, inventare.

E’ prendere sul serio l’ostacolo che costituisce la polizia. Come disfarlo? Là dove altre modalità di vivere vengono ad esistere, come la ZAD, siamo già riusciti a mettere la polizia in scacco – tutti i tentativi di espulsione sono falliti. Determinazione della resistenza, determinazione della ricostruzione.

E’ rifiutare che il silenzio e la calma s’installino dopo la morte di uno dei nostri. Decine di manifestazioni e concentramenti ci sono stati in numerose città nonostante gli sforzi dispiegati dal potere. I liceali chiamano ad azioni giovedì 6 novembre. Una manifestazione il 22 novembre. Le iniziative e le proposte si moltiplicano, come quelle della ZAD:

“Molestare e fare inchiesta su coloro che forniscono la repressione, collaborano con essa, perturbare tutti i mezzi tecnici che permettono loro di armarsi, spostarsi, rifornirsi e ancora. Concerti di pentole davanti ai commissariati e alle gendarmerie, molestia verbale delle pattuglie, ricorso giuridico contro le armi della polizia, sabotaggi, è l’impiego simultaneo di tutti questi mezzi che riuscirà a fare movimento”.

A noi di elaborare una risposta all’altezza della situazione.

Non cederemo alla paura. Per Remi. Per Noi. Le nostre lotte, i notstri mondi e le nostre amicizie.

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