naufraga

per quanto la ami, non mi è per nulla facile affrontare i testi della lonzi. nella sua analisi delle condizioni e delle modalità dell’oppressione che sente e riconosce, proprio perché così radicale, a volte è al limite dell’asserire degli universali di genere, vittimizzando e auto-vittimizzando quello femminile. ma questi giorni non solo io siamo andate a ripescarci e leggerci il dialogo che portano avanti carla lonzi e pietro consagra lasciandosi.
“c. siccome sono una donna e non un fenomeno di natura e vivo questo fatto dall’interno ti posso dire che questo modo di vedere la donna è una proiezione tua (…) facendola apparire necessaria alla creazione dell’arte dai a questo essere che non ha nessuna espressione di sé, gli dai il miraggio di passare dalla nessuna funzione alla funzione massima che è quella riconosciuta dalla società nell’arte (…) io considero che la donna non esprime quell’amore e quella cura delle relazioni con tutta la problematicità con cui lei la vive. oppure l’uomo non la riceve con tutta la drammaticità con cui lei la vive (…)
p. ma come mai la donna non si è mai ribellata all’arte? perché non si ribella e dice “non mi usate come testimone perché io non lo sono”?
c. non si è ribellata all’arte, come non si è ribellata a nessun mito della società, perché già in privato è rimasta piegata, compressa, schiacciata, inespressa. (…) già lì è una perdente, perché ricerca continuamente quell’amore, quel rapporto con il partner, amore e rapporto che non riesce a sostenere se non nei termini che sono congeniali a lui per rafforzarsi e attrezzarsi bene a affrontare il mondo. l’uomo gli dà un valore strumentale (all’amore), lo recupera poi come valore assoluto nell’arte, nella poesia, nell’opera che, come abbiamo visto, nasce e vive nel non rapporto. allora è l’uomo che dopo averle impedito di vivere l’amore gliene offre il simbolo sotto forma di oggetto. (questo passaggio mi ha ricordato questo dialogo tratto dal film rouge di kieslowski: “Ieri vi ho sognata. Vi ho sognata, avevate quaranta o cinquant’anni ed eravate felice”. e infatti non sapendo reggere lo sguardo sul dolore… “io voglio che tu sia felice”).
la donna già nella vita privata rimane sospesa perché quando comincia a esprimere la sua problematicità, il suo chiedersi chi è, il suo chiedersi cosa c’è dietro una certa situazione o a un certo tipo di rapporto, l’uomo si sdegna, si insospettisce, la comincia ad evitare (ecco, cosa mi disturba della scrittura di carla, questo asserire al contempo un universale uomo, debole e meschino. disturba le mie pippe teoriche sul sistema sesso/genere ma anche la mia insopprimibile e vitale fiducia nell’altr*. resta il fatto che sto raccogliendo quasi solo fenomenologie di maschilità incarnate che vanno in questa misera direzione). finché a lei non è passata quell’inquietudine, allora l’uomo è soddisfatto e dice “ecco, ora sei veramente serena, matura” (la presunta leggerezza, che viene costruita sulla carne viva della persona con cui si è in relazione. calvino scriveva che “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione… Paul Valéry ha detto: Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume”. ha a che fare con la gravità, non la ignora.) invece lei si è semplicemente veramente adattata al ruolo. (…) a quel punto lì non le rimane altro che aderire. una volta che hai fatto il sacrificio di te sul piano privato, lo vuoi portare a livello sociale. e vuoi essere la madrina della nave, la compagna del presidente, l’ispiratrice dell’artista… persino lenin diceva che la liberazione della donna era di elevare la maternità, nota eh, la maternità dal livello privato al livello sociale. nella rivoluzione socialista c’è questa aberrazione che è compito della donna sorreggere la rivoluzione fino al mausoleo del capo carismatico. questo diceva lenin, ma non mille anni fa, lo diceva pochi decenni fa e i suoi discendenti lo hanno praticato. quindi figurati se nell’arte non c’è la stessa mentalità, in più in una maniera suadente, piacevole, carezzevole.
p. (..) tu ragioni, sotto sotto, nel destino della guerra. tu pensi che c’è il destino terribile di un conflitto su cui ci si deve dirigere. perché tu consideri la donna fallita. quindi deve essere riconosciuto sempre questo dramma qui. e dobbiamo vivere dentro la coscienza di questo dramma.
c. no. la donna vive un fallimento. poi una vita con la coscienza di questo fallimento e con gli imperativi che ti dà questa constatazione del fallire – imperativi di autonomia, imperativi di contrastare i soprusi culturali tradizionali, di andare a scoprire sempre l’elemento che ti paralizzerebbe e che è in ogni sfumatura della vita – questa condizione molte donne, la maggior parte, non la può sopportare perché ti posso dire personalmente che è al limite dell’invivibile. avvengono tante reazioni: avvengono delle reazioni a metà, dei tentativi di vita diversa, delle rivolte subito sedate, delle insurrezioni, delle manifestazioni di piazza, dei progetti utopistici, e poi tutto si ferma perché questo stato, portato avanti tutta la vita è una condizione umana quasi inimmaginabile. soprattutto inimmaginabile dall’uomo che già per molto meno si dichiara vittima, crocifisso, morto, redentore…”
il mio amato izzo: “Triste, quella sera, lo ero. La morte di Ugo mi restava sullo stomaco. Mi sentivo oppresso. E solo. Più che mai. Ogni anno, cancellavo dalla mia agenda gli amici che facevano discorsi razzisti. Trascuravo coloro che sognavano solo macchine nuove e vacanze al Club Med. Dimenticavo tutti quelli che giocavano al lotto. Amavo la pesca ed il silenzio. Camminare sulle colline. Bere del Cassis freddo. Del Lagavulin, o dell’Oban, tardi nella notte. Parlavo poco. Avevo le mie idee su tutto. La vita, la morte. Il Bene, il Male. Andavo matto per il cinema. Ero appassionato di musica. Non leggevo più i romanzi contemporanei. E più di tutto mi facevano schifo i pavidi, i mollaccioni.
Tutto ciò, aveva sedotto parecchie donne. Non ero riuscito a tenerne neppure una. Ogni volta rivivevo la stessa storia. Quel che a loro piaceva in me, si mettevano a cercare di cambiarlo, appena sistemate nelle lenzuola nuove di una vita in comune. ‘Nessuno ti cambierà’ mi disse Rosa andandosene, sei anni fa. Ci aveva provato per due anni. Ma avevo resistito. Ancora di più che con Muriel, Carmen e Alice. E poi alla fine, una notte, mi ritrovavo davanti a un bicchiere vuoto e un posacenere pieno di cicche.”
accosto il discorso di carla con le parole fascinose e dolorose di montale.. perché mi devasta pensare che qua c’è gente che si appacifica il peso della merda prodotta, come dei piccoli hegel perversi, nella trascendenza di un ricordo estetico. e dall’altro c’è altra gente, tra cui io, che invece sublima l’altr* e  si ostina a non accettare che è in buona parte la perdita del conforto di quella immagine lì a cui non si arrende.
x e y, due amiche.
[12/04/14 20:25:09] x: non so se hanno meno paura di noi, sono più codardi o in qualche modo più “saggi” ad accettare di andarsene (che è la cosa che a volte mi viene da riconoscere..)
[12/04/14 20:25:24] y: meno paura non credo [12/04/14 20:25:29] y: più codardi sì [12/04/14 20:25:44] y: forse anche più saggi talvolta
[12/04/14 20:36:55] x: per quello dicevo son più saggi.. sono tristi anche loro ma se la digeriscono meglio, con più ragionevole accettazione
[12/04/14 20:37:16] x : mentre boh, a me sembra che noi a volte facciamo le crocerossine e le medee allo stesso tempo.
[12/04/14 20:37:51] x: e la roba che mi manca ora ora in questo preciso istante è affrontare questo discorso con lui (..)
e poi y dice che ragionevole accettazione è starsene confortati ma anche perdersi le cose belle e lasciarsele passare davanti agli occhi. è un sapere ma anche un atteggiamento conservatore.
[12/04/14 20:41:06] x: ci vorebbe intimità e autenticità su quel piano lì
[12/04/14 20:41:31] x: solo che se stando dentro una relazione è forse difficilissimo questo
[12/04/14 20:42:13] x: stare sul piano di dirsi veramente che cazzo vogliamo
[12/04/14 20:42:16] x: e cosa temiamo
[12/04/14 20:42:33] x: c’è la paura di perdersi di ferirsi o di non so cosa che ce lo impedisce
[12/04/14 20:42:34] y: sì
[12/04/14 20:42:53] y: a me sembra di farlo però
[12/04/14 20:43:09] y: e anche z spero sappia almeno che lo può fare
[12/04/14 20:43:40] y: e mi sembra anche l’abbia fatto
[12/04/14 20:44:25] x: si ma non forse sul punto sul come lui pensa voi due possiate gestire la cosa, su cosa possiate fare e cosa si aspetta da voi
[12/04/14 20:44:44] x: su cosa sta proiettando nella relazione (..)
[12/04/14 20:49:57] x: cioè un* così non sa con cosa ha a che fare e quindi come scardinare se è possibile farlo [12/04/14 20:50:09] x: così un* non sa dov è.
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