Chi sono i perversi?

Erano i primi mesi a dakar, nel 2011. Mi muovevo ancora solo con i bus di linea.. perché le traiettorie non scritte, esoteriche oserei dire, che definiscono i quasi fissi percorsi degli scassatissimi ndagandiaye e car rapid, non mi erano ancora note (che poi non è che me lo siano tutte anche ora.. è una conoscenza che guadagni frequentando bene i quartieri, avendo familiarità con i nomi popolari degli incroci, delle vie, dei mercati..).

e quindi ero lì alla fermata dell’autobus, ad aspettare seduta sui i resti della panchina in cemento messa lì parecchi decenni prima. Ero lì ad aspettare il mio numero 8, avendo ancora un uso della città da europea che mi stava facendo perdere le decine di tutti gli altri mezzi che sostavano di là e tiravano su gente, e che mi avrebbero avvicinato ben prima a casa. Mi raggiunge questo signore, si siede accanto a me e inizia a parlarmi. Quando viene fuori che sono italiana, lui mi dice che è stato del tempo a torino fino a quando non l’hanno fatto tornare. Il suo italiano era inesistente quasi quanto il mio wolof, e il francese lo parlava a mozziconi. Nella mia testa si era già accesa la maledetta luce “è un espulso, hai trovato un espulso..”. Avvisto l’autobus e faccio in tempo a chiedergli il suo numero di telefono. Gli dico che vorrei parlargli, che sto facendo una ricerca su chi torna dall’Italia, che problemi ha, che vorrei sapere di più della sua storia se ha voglia, che lo chiamo. Glielo dico in francese, non so se mi ha veramente capito. Lui dice certo chiamami, mi fa piacere.
L’indomani lo chiamo, mi dice che è fuori a lavorare, che torna a dakar il sabato, che possiamo rivederci a quella fermata, perché lui abita lì accanto.
E infatti è alla fermata che ci troviamo, ha un vestito “da festa”, mi chiede se voglio mangiare qualcosa, io dico che no, e allora lui mi dice andiamo a casa mia. Non ci penso proprio, che magari potrebbe non essere una gran bella idea. Dopo qualche minuto di cammino, entrati nel dedalo di vie di sabbia, si ferma a comprare una bottiglia di cocacola (la bibita-fresca-da-ospiti-non-fatta-in-casa più economica), e mi dice abito qui. E inizio a salire queste scale, e mentre saliamo scopro che non è casa sua, che lui affitta una stanza, perché non è sposato, e la sua famiglia abita in una regione interna al paese, ma lui lavora in giro, fa il muratore, e quindi.. Seppur una sensazione si affaccia alla mente, che ci stiamo in qualche modo fraintendendo, entro. Mi indica le camere delle altre persone in affitto, mi mostra la cucina, il bagno, mi dice che hanno diritto a usare il frigo in cucina, ma che lui se n’è comprato uno per sé. Io guardavo, pensando tra di me e me al fatto che stavo vedendo come vive un lavoratore pendolare in quella metropoli, alle condizioni abitative nella metropoli dakarois, guardo la sua stanza… la televisione, il piccolo frigo, il materasso appoggiato a terra. Inizio a realizzare che c’era altro che dovevo guardare e gestire solo quando, sedutami sul materasso ben distante da lui, lui mi dice di avvicinarmi. Ma allora me ne fotto, anzi mi scatta un altro bel meccanismo perverso in testa.. bene, tu ci stai provando, e allora ci provo anche io. Tu cerchi di tirar fuori qualcosa da me, io a sto punto cerco di fare “seriamente” il mio gioco su di te, e vediamo chi si stanca prima. Io s-oggetto sessuale, tu s-oggetto scientifico. E così non dico nulla sulle sue intenzioni, non mi posiziono. Gli ribadisco solo che sto facendo la ricerca e inizio a riempirlo di domande, senza alcun pudore (questo sì, che di solito ho addosso, il pudore di far domande che possano riportar fuori sofferenze, il pudore nel provare a farmi i cazzacci altrui). Lui risponde, ogni tanto prova a dirmi di avvicinarsi, mi dice che mi trova bella, e altre cose.. e io lì, che continuo con la mia inquisizione. Lui intanto mi si avvicina, l’ultimo assurdo tentativo lo faccio indicando le bottiglie con gli amuleti che tiene in un angolo della stanza. Rimedio alcuni minuti e nuove confuse informazioni. Perché nel frattempo ha smesso di parlarmi francese e parla solo wolof. Quando pone la sua mano sulla mia gamba mi alzo, invento scuse sul tempo che è volato e un appuntamento che rischio di perdere, e me ne vado.
E rimango scioccata nei giorni successivi. La sicurezza che in parte avevo in quella stanza se ne va subito dopo, appena ne esco, in una commistione triste di senso di rabbia, colpa, e schifo. Non era quella sensazione già provata, per fortuna pochissimissime volte prima di allora, in cui in mi sono trovata toccata da un uomo che non mi piaceva, senza che io lo volessi, senza che io ci stessi minimamente pensando, senza che.. Era qualcosa di diverso perché avevo pensato di poter usare a mio vantaggio la situazione, e in parte ci ero anche riuscita.
In quegli stessi giorni poi vengo a sapere dall’europa che un docente che mi sembrava in gamba stava ironizzando sulle giovani donne che fanno ricerca in senegal, e un accenno a questa storia l’aveva fatto anche in una mail che mi aveva mandato. Inizio a scrivergli una mail, di risposta, cercando di vomitargli in faccia il suo sessismo, ma mi sento troppo esposta, come persona, come donna, come giovane antropologa, e non sicura che avrebbe capito. Quindi lascio perdere, e da allora non l’ho più sentito.
Perché questo episodio mi è venuto in testa stamattina..? perché mi è rivenuta in mente la conversazione innescata dal mio amico, non mi ricordo più a partire da cosa, sulla panca di una cantine a saintlouis.. le implicazioni metodologggiche, cosa scrivere o non scrivere di quello che abbiamo fatto “facendo etnografia”, con i nostri corpi, con le nostre vite, con il nostro genere.. e io che gli dicevo e in fondo mi dico ancora, che queste cose non le ho scritte, per fragilità mie, e per il fatto di non sapere dove porti scrivere su una tesi che i nostri interlocutori a volte ci leggono come oggetti di desiderio, oggetti sessuali, se non a veicolare in qualche modo un’idea razzista che tutti i senegalesi sono scopocentrici.
(Nel senso, Sì, ci sarebbe un bel capitolone da aprire sulle cazzate e sulle violenze intenzionali che un* fa sul campo, sulle  rinnovate e tacitate pratiche di merda che chi fa ricerca produce, per infamia, per ansia da prestazione, per stanchezza, perché sei lì.. cercare di distinguerle quelle cazzate in base alle violenze che producono, in base anche concezione del sapere le muovono.. e un giorno forse lo farò)
ma il punto qui, per ora, è che è facile scrivere che tu in quanto giovane europea rappresenti un matrimonio e un permesso di soggiorno in europa, è facile dire chiaramente che è frutto segno e sintomo dell’impossibilità per questi uomini di muoversi legalmente altrove, di uscire dall’assenza di reddito in cui vivono. Ma dove è il “”culturale”” e l’asimmetria specifica di potere in tutto ciò, che non sia solo legata all’eterosessualità che abitiamo.. dove è nel fatto che tu sei una donna, che sta chiamando un uomo per chiedergli di vedersi e parlare della sua vita.. e lui fraintende, (perché ignora la portata di quello che ti ha mosso a venire lì dall’europa, perché la intuisce ma cerca di giocarla a suo favore..) e ci prova…
In qualche modo una risposta mi è arrivata molto dopo.. nelle mie ultime ore passate a dakar, questo giugno. Prima di partire, mi son regalata una cena in una zona di ristorantini sulla punta ad ovest dell’oceano. Coi tempi rosicatissimi, perché al solito mi ritrovo sempre in ritardo nelle mie strade di ritorno all’aeroporto. Finisco la birra, cerco un taxi, mi chiedono prezzi da bianchi coi soldi. Provo a incamminarmi a piedi ben sapendo che però in realtà sono fottuta perché non ho tempo da perdere. Un tassista mi urla da dietro, dai ti prendo su io. E quando salgo attacca con le solite domande del sei sposata.. sei fidanzata.. mi dice che vuole una donna bianca da sposarsi, che un suo amico è partito così.. io inizio a pigliarlo per il culo… dicendo ce ne sono un sacco in giro.. lui radicalizza piano piano il discorso.. mi chiede se vivo insieme col mio ragazzo (di cui ovviamente gli avevo assicurato l’esistenza).. se ci faccio bene all’ammmore.. che devo lasciarlo perché gli europei non valgano un cazzo e solo i senegalesi sono bravi a letto.. e poi, e questo discorso mi è nuovo, inizia a lamentarsi che le donne europee vengono qua per farsi scopare, ma non vogliono sposarsi, non vogliono mai sposarsi.. loro vengono qua.. ti scopano per qualche giorno e poi ripigliano l’aereo e se ne vanno.. e questo non gli va bene, gli sembra ingiusto, perché non ti credono.. e finisce però a parlarmi del suo cazzo.. fino a quando non accenna al gesto di slacciarsi la zip dei pantaloni. Io cambio tono di voce.. il mio no grazie non voglio vedere è detto in un modo che si sottrae al registro scherzoso con cui in qualche modo stavamo parlando. Lui capisce e sposta il discorso, e mi racconta del fatto che il suo amico comunque, che era partito, anche là in italia non sta troppo bene, nonostante la moglie che lo mantiene. E quando aveva tolto le mani dal volante per metterle sul bacino, non mi ero sentita in pericolo, mi ero solo detta oh no cazzo, adesso questo che minchia si mette a fare, te prego figlio mio fammi arrivare all’aeroporto, non creare su un casino che perdo il volo.. questo pensavo.
Ma il punto allora forse è che se lui si è preso la libertà di tirar su quella scena non è perchè è uomo, ma perché è un uomo, con un suo tot di esperienze alle spalle, e magari aveva veramente avuto a che fare con un tot di “”turiste sessuali””. e questo non vuol dire che quel prof. aveva in qualche modo ragione. ma che per l’ennesima volta sti generi vanno presi sul serio. e avere a che fare con l’eterosessualità in una società patriarcale non può voler dire ridurre gli uomini al testosterone, ma provare ad ascoltarsi. e io a volte, soprattutto là, me lo dimentico vivendo gli uomini come svangatori a priori. e invece si tratta di rimettersi reciprocamente al proprio posto, ovvero in un atteggiamento “sano” verso l’altr*.
arrivata all’aeroporto poi consegnato il bagaglio, mi ero messa fare un giro nell’edicola che c’è fuori… cercavo qualche romanzo da portarmi dietro.. e lì un giovane bayefall aveva invece tentato di parlarmi in un altro modo, chiamandomi da subito donna bayefall dicendo che vedeva luce, serenità e bontà in me.. che quando sarei tornata gli avrebbe fatto piacere lo chiamassi.. e mi son resa conto che era veramente da tanto che non stavo da sola in senegal.. senza amici, finti parenti o senza altre persone conosciute attorno che in qualche modo non mi facessero apparire una ragazza sola.
E ho pensato a nouackchott.. quando sola non ero e son stata fatta scendere dal taxi, perché la combinazione dei posti non era buona, e io stavo seduta in mezzo, spalla a spalla con un tizio a caso, e quindi mi son dovuta risedere spiattellata addosso al finestrino (e giù di ennesimo imboressamento idiota, la mia invalidità), protetta dagli altri uomini dal corpo del mio finto marito.. chissà che succede se vado in giro da sola lì.
Che potevo dirgli al tassista se si sentiva veramente reificato in un oggetto sessuale? Bello mio, hai ragione, ti “usano”, usale anche tu a sto punto e magari tira su più soldi se non lo fai già? Così ci sentiamo anche noi a volte (io, le mie amiche, un altro tot di donne che scrive, prende parola, racconta in europa) e allora se vuoi parliamone così magari almeno ci capiamo un po’ di più?
Già va bene se son riuscita a parlare con qualcuno in senegal, a parlare un po’ di me, e ascoltare loro, e provare a infilarmi e ficcare dubbi sui comportamenti, degli uomini con cui avevo a che fare, nei confronti delle loro mogli..
Che anche qua in italia è tutto un gran casino, in primis per quello che combino e reitero io. E ora sto qua a pensare come inventarmi un laboratorio sulla consensualità da fare con alcun* adolescenti, che l’anno scorso non son nemmeno stata in grado di arginare seriamente il loro continuare a dare della troia ad una ragazza della loro città che si era fatta filmare mentre faceva sesso con il suo ragazzo..
vorrei tornare per un altro po’ su quella striscia di terra, quella tra oceano e fiume in cui siamo andati dopo aver accantonato il discorso sul metodo. ci siam rimasti poco, e il bagno non l’ho neanche fatto, c’erano le reti in mare, e uscita dall’acqua avrei tirato già una sequela di bestemmione per il vento. ma quell’immagine lì ce l’ho ancora in testa, anche se le foto non le ho ancora scaricate.
A volte ti vien voglia solo di fuggire un po’ nella dolcezza, o augurarti che quella di cui hai bisogno possa sempre a essere a portata di mano nella tua vita. Che quello sì che sarebbe un miracolo. Non, come mi ha detto uno ieri, esser riusciti assieme a scrivere un progetto di ricerca in 2 giorni.
Buoni miracoli, va!
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