memorie

in una cartella abbandonata, ho ritrovato un testo/bozza che risale a qualche anno.. è il contributo soggettivo ad un manifesto a molteplici mani che apriva ad un progetto politico collettivo purtroppo arenatosi nelle vite individuali.

..paura di perdere il controllo, paura dell’AIDS, di andar in giro di notte, paura dei fascisti, di non avere soldi, paura dei quartieri “degradati”, paura dello stupro, delle malattie, delle rughe, dell’insicurezza. Siamo stanche di dover diffidare. Preferiamo la gioia dell’auto-organizzazione, della genitorialità allargata, del girovagare in bici, dell’autocoscienza, del mutuo aiuto nel vicinato.

I nostri tentacoli non li asserviamo all’emancipazione. Non ci accontentiamo della flessibilità di mercato, di emulare il loro porno, di sorridere a datori di lavoro e a clienti. La nostra disponibilità non è merce, ma decidiamo noi con chi e quando metterla in gioco.
Il nostro corpo è difforme, indisciplinato, potentemente erotico. Non completamente nostro (perché plasmato nella relazione con altr*), ma di sicuro non di forze armate, sindaci, preti ed obiettori: ce lo godiamo come e con chi ci pare!
Senza taxi rosa, senza quartieri fortificati, senza controlli d’identità, senza videocamere di sorveglianza. Non ci potete racchiudere sotto le teche di vetro delle vostre tutele e neanche innalzare sui piedistalli delle vostre carriere. Ancor meno continuare a spacciarci le favole coniugali: sappiamo bene che è nel chiuso delle case che si annidano gli stupri e le percosse.
Ci sottraiamo alle egemoniche narrazioni di una felicità consumabile e di fatto miserabile. Le stesse che ci vorrebbero conformi e trasgressive a comando: madri autonome ed efficienti per la dignità nazionale, compagne comprensive e cuscinetto, lavoratrici competitive, amanti “scandalose”. (Cos’è quello scandalo se non la riproposizione di una noiosa e superficiale sessualità da prestazione, copertina patinata di politically correctness?)
Non ci interessa una parità dal basso, e al ribasso, perché è proprio la delega, e l’idea del diritto come concessione e integrazione, che vogliamo distruggere.
Alla sicurezza militarizzata e desertificante, preferiamo il pericolo di vivere.
Cerchiamo e vogliamo costruire complicità nei margini di questo sistema, e non perché le “velate” o chi è a rischio di deportazione, così sovraespost* nei media, nei discorsi dei partiti, nel mondo dell’assistenzialismo più o meno laico, dentro le università, siano vittime da difendere o eroine da esaltare. Ma perché pensiamo che è mettendo in comune i nostri limiti, e i saperi acquisiti nei singoli reagire alle criminalizzazioni, che possiamo accrescere la potenza di ciascun*.
..è il legame del desiderio con la realtà ad avere una forza rivoluzionaria..
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